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Dicono di Lui

Una sezione dedicata ai contributi di altri, che raccoglie testimonianze d’autore, ricordi, letture private, pensieri, sguardi sullo scrittore. Uno spazio dove raccontare non soltanto le sue opere e le sue riflessioni politiche/artistiche/letterarie, ma anche le vicende e i luoghi della sua vita, attraverso le parole e le immagini di studiosi, lettori, amici, esperti, e di chi ha semplicemente letto e amato i suoi romanzi, i racconti, gli articoli.

 

23 Novembre 2015

Gli odori e l’osso di Giovanna Zucconi

O forse il profumo non è struggimento, come nel Gattopardo, non è esasperazione, e non è neppure privilegio di un’élite colta come per Baudelaire. Dal punto di vista del cane – è lì che andiamo a disporci, grazie ad Alberto Moravia con il suo racconto che si intitola Gli odori e l’osso – il profumo è amore. Tutto qui, ed è tantissimo. E come si definiscono gli odori, dal punto di vista (anzi, di olfatto) del cane? A due zampe, a quattro zampe, azzurri, rossi, zitti… Fra tutte le possibili classificazioni degli odori, questa non è neanche la più assurda.

Il mondo, questo è sicuro, è fatto di ossa e di odori. È fatto di ossa quando, per qualche motivo misterioso che non so definire, io sono più forte del mondo; è fatto di odori allorchè, per altri motivi non meno misteriosi, il mondo è più forte di me. Nel primo caso, si verifica una riduzione drastica: il mondo non è più che un osso; nel secondo, un’esplosione stupefacente: il mondo è un milione, un miliardo di odori. La riduzione del mondo all’osso si accompagna a sentimenti e manifestazioni piuttosto sgradevoli: arriccio il pelo, digrigno i denti, abbaio, schiumo dalla bocca, mi avvento, mordo; l’esplosione degli odori è anch’essa accompagnata da un particolare comportamento: naso a terra, seguo, uno dopo l’altro, gli infiniti odori che compongono la realtà; oppure seduto sulle zampe posteriori, la testa alzata, nelle narici ben spalancate, decifro con voluttà gli innumerevoli messaggi olfattivi che mi giungono da ogni parte.

La varietà degli odori è infinita. Ci sono odori a quattro zampe, cioè gatti, cani, cavalli; a due zampe, cioè uomini; che strisciano, cioè serpenti; che volano, uccelli; che nuotano; cioè pesci; che brulicano, cioè api, formiche e in genere insetti. Ci sono odori verdi, per esempio l’erba; azzurri, il cielo; gialli, il sole; rossi, il sangue. Gli odori che corrono si chiamano aeroplani, automobili, biciclette, ramarri, lepri; gli odori che fanno rumore, radio, televisione, grammofoni, campane, calabroni; gli odori che stanno zitti, in genere i mobili della casa, quando non c’è nessuno e le stanze sono al buio.

Naturalmente ci sono odori buoni e odori cattivi. Senza affaticarmi a stendere un catalogo impossibile, mi limiterò a dire che gli odori buoni sono quelli che rassomigliano di più all’odore della putrefazione e i cattivi quelli che rassomigliano di meno. Non si creda a una scala di valori arbitrari, però. In realtà la putrefazione è sinonimo di personalità; e questo perché la durata è indispensabile allo sviluppo della personalità, cioè della putrefazione. Insomma, non si raggiunge un certo grado di putrefazione, cioè non si acquista una personalità riconoscibile così, di punto in bianco: ci vuole tempo. E infatti i bambini, gli oggetti nuovi non hanno odore cioè personalità; mentre un vegliardo oppure un tappeto che sia impregnato della polvere di un secolo emanano odori numerosi e oltremodo sfumati, cioè hanno personalità complicate e profonde.

Un altro odore che a noialtri cani fa un effetto irresistibile, un po’ come l’effetto della droga al drogato, è l’odore del padrone, Si tratta di un odore indefinibile, per così dire metafisico. Esso è all’origine della nostra famosa fedeltà: un cane fa qualsiasi bassezza pur di seguire perpetuamente la traccia di quest’odore. Tra parentesi, vorrei farvi notare che i padroni hanno inevitabilmente odore di padrone. È strano, è incomprensibile, ma è così.

Circa, poi, la riduzione del mondo ad un osso, cioè alla trasmutazione degli infiniti odori infinitamente sfumati in un solo brutale e semplice osso, esso avviene tutte le volte che il cane ha l’impressione che l’odore stia per essergli sottratto. L’annusamento degli odori da parte dei cani rassomiglia molto a quella che è la contemplazione per gli uomini: il cane si perde nell’odore, dimentica se stesso, si annulla. Ma fate che qualcuno voglia portargli via l’odore e allora il cane torna cane e il mondo diventa un osso.

Tratto da "La sua voce è profumo" di Giovanna Zucconi - (c) 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano per gentile concessione dell'autore e dell'editore

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8 Giugno 2015

Da "Moravia e l'Europa, un rapporto di profonda passione" di Paolo Di Paolo                                      pubblicato su L'Unità - 06/04/2014

In vista delle elezioni europee, è un libro da rileggere. Il Diario europeo di Alberto Moravia, legato all’esperienza di parlamentare a Strasburgo negli anni Ottanta, è incredibilmente attuale. Un esempio a caso? Le osservazioni che Moravia fa sul rapporto in Europa fra particolarismi nazionali e universalismo culturale sembrano scritte ieri: l’autore degli Indifferenti paragona l’Europa a una stoffa double-face, su un lato una tessitura multicolore come un patchwork, sull’altro una sola tinta viva e profonda. L’universalismo culturale europeo, sosteneva Moravia, come un temporale improvviso, imbeve di tanto in tanto un territorio disegnato da confini, frontiere, limiti di proprietà. Ma questa pioggia fecondante è tutt’altro che tranquilla, è invece esplosiva e drammatica. Non vi sembra che siamo ancora lì, alle prese con le stesse questioni?

Di Moravia e l’Europa si è discusso in un convegno all’Università di Perugia giovedì scorso, organizzato dal Fondo Alberto Moravia. È una delle attività che aprono una nuova stagione del Fondo, con visite alla casa museo Moravia, a Roma (sarà aperta in un’occasione straordinaria il 10 maggio), e incontri sull’opera dello scrittore (a Fondi il 9 maggio si parlerà della Ciociara). Al convegno di Perugia critici e studiosi, da Raffaele Manica a Salvatore Silvano Nigro, da René de Ceccatty a Simone Casini, hanno toccato diversi aspetti della riflessione europea di Moravia, eletto nelle file del Pci al Parlamento di Strasburgo giusto trent’anni fa, nel 1984.

Chiediamo alla scrittrice Dacia Maraini, che ha tenuto un intervento dal titolo «Moravia e l’Europa» ed è presidente del Fondo Moravia, qual è secondo lei l’aspetto più europeo dello scrittore.

«Alberto – risponde Maraini – era e si sentiva profondamente europeo, più che per una questione politica o geografica, perché i suoi punti di riferimento erano i grandi scrittori europei su cui si era formato. Fin dall’adolescenza, si era immerso nella lettura di autori come Balzac, Proust, Joyce, Woolf, aveva poi frequentato Bloomsbury, e il suo percorso letterario dimostra l’esistenza di un’Europa prima di tutto e soprattutto culturale, un’Europa dello spirito che esiste da molto prima di quanto immaginiamo».

Quale fu la ragione che spinse Moravia a candidarsi al Parlamento europeo?

«L’ha fatto soprattutto per poter diffondere le sue idee pacifiste: in quegli anni si parlava molto di guerra atomica e lui ne era preoccupato, se non ossessionato. I suoi discorsi a Strasburgo si soffermano spesso sul pericolo di quello che lui chiamava l’inverno nucleare. Come gli esseri umani hanno creato il tabù dell’incesto, che non esiste in natura, occorre – diceva Moravia – un lavoro culturale per creare il tabù della guerra. È una bellissima idea, poetica e insieme di grande forza politica».

Nella distanza sempre più larga fra i cittadini e l’idea stessa di Europa, l’appuntamento elettorale del 25 maggio quanto conta?

«È molto importante andare a votare per arginare l’avanzata dei nazionalismi. La globalizzazione, la mobilità sociale, i flussi migratori hanno alimentato in questi decenni paure legate alla perdita delle identità locali. Si tratta di ansie legittime, viscerali, che non però vanno assecondate, ma razionalizzate. La risposta deve passare per una politica che non sia solo populismo, ma che porti invece con sé una visione culturale dell’Europa contemporanea. Il rischio, altrimenti, è che per troppi cittadini l’Europa sia solo quella della finanza e delle banche».

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